Avrebbe compiuto settant’anni proprio in questi giorni, Roberto “Freak” Antoni, e mi piace pensare che sarebbe stato proprio lui il primo a stupirsene. Conservò per tutta la vita, sino alla fine, l’aria scanzonata dello studente fuori corso, troppo indaffarato a riflettere (e a scherzare) sulla vita per dedicarsi a quisquilie quali la carriera, la famiglia, il denaro ed altre amenità.
Non so dire se avesse davvero – sono parole sue – “l’urlo nella pelle”; di certo, però, era animato da un’inquietudine autentica, che in qualche modo sapeva trasmettere con lievità. Personalmente, ebbi modo di conoscerlo molti anni fa tramite amici musicisti, anche se, pure in modo indiretto, le notizie su di lui non mi mancavano: il mio socio Tiziano Tommesani conosceva Freak sin dai tempi del DAMS, negli anni ’70. In gioventù, avevano persino militato insieme in una squadra di calcio, tanto improbabile quanto il nome che portava (“Atletico Marx”) ed il logo che la rappresentava (l’immagine austera del filosofo di Treviri nell’atto di iniettarsi eroina).
La conoscenza diretta confermò il ritratto che ne avevo ricevuto: mi parve un uomo davvero spiritoso, garbato, molto intelligente. E soprattutto, per quanto una simile affermazione possa sembrare incongrua – dato che ci riferiamo ad uno dei fondatori italiani del genere “punk-demenziale” -, possedeva l’allure di una persona d’altri tempi. A differenza del suo padre nobile Tristan Tzara, non portava il monocolo, Freak Antoni (il sottoscritto a quel tempo sì, ma questa è un’altra storia); però la carica iconoclasta e autenticamente sovversiva mutuata da un certo dadaismo – seppure declinato “alla petroniana” – costituiva, a mio giudizio, la radice profonda del fenomeno Skiantos. Quanti volessero rintracciarvi fondamenta “altre” – politiche, sociali, contingenti – finirebbero fatalmente fuori strada, condannandosi a non capire la portata di un fenomeno pop tra i più originali e complessi mai apparsi nell’Italia post-sessantottina.
Tali elementi indubbiamente ebbero un peso, specie dopo che il Movimento del Settantasette ebbe adottato de facto la band quale sua componente artistico-comunicativa; ma l’essere organici ad un fenomeno di massa per sua stessa natura disorganico e in larga misura disorganizzato, a differenza della Contestazione precedente, come del resto l’effimera sua vita confermò nel breve volgere di una stagione, sarebbe stato impossibile persino per gli Skiantos.
Refrattario ad ogni inquadramento, supertite di una piccola guerra mai dichiarata (ma che pure ebbe i suoi caduti, specie negli anni successivi), Freak Antoni finì per costituire la memoria di una stagione; e, ancora di più, la (cattiva) coscienza di una certa Sinistra, frettolosa di neutralizzare, integrandoli nel tessuto amministrativo delle Istituzioni, molti dei protagonisti della “scellerata” avventura del ’77, ma ancora del tutto incapace di comprendere ciò che essi avevano saputo realizzare sul piano culturale. Se i Socialisti furono più accorti, portando a redditività le competenze che quei giovani avevano sviluppato, specie nell’ambito nascente dei media e della Comunicazione, e ponendole a beneficio delle campagne elettorali trionfali del craxismo mid-eighties, il vecchio PCI pareva comprensibilmente più orientato a chiudere in misura spicciativa la parentesi dei blindati in piazza Verdi, senza troppi discrimini circa il valore di quanto si era prodotto in quel periodo.
Sarebbero serviti il crollo di svariati muri (materiali ed immateriali), parecchi cambiamenti di ragione sociale ed infinite leadership successive e variegate, per giungere alla rivalutazione complessiva di un organismo collettivo – il Movimento stesso, e più in generale ciò che ne derivò in termini di potenzialità creativa – e delle sue successive evoluzioni.
Freak Antoni e i “suoi” Skiantos seppero schivare, con l’aiuto di un’ironia corrosiva e mai acquiescente, la duplice trappola del riflusso e della santificazione a posteriori, né soggiacquero alla tentazione di un reducismo paralizzante e di maniera. Semplicemente continuarono a far musica per il piacere di farlo, demolendo con certosina metodicità e grazia degna d’un moralista del Settecento stereotipi e luoghi comuni di un mondo, forse ben più assurdo di qualsiasi non-sense estrapolato dalle loro canzoni.
Oggi mi capita spesso, per interesse personale o ragioni lavorative, di intrattenermi con professionisti dello spettacolo riguardo questo o quell’umorista di grido. Perlopiù ravviso in essi una certa piattezza, una fastidiosa uniformità di fondo a mascherare uno sconfortante conformismo, sovente corroborato da volgarità gratuita e puerile… Freak Antoni, al contrario, sapeva essere dolcemente graffiante e sottilmente provocatorio, dimostrando nei fatti che acume e ironia autentici non possono mai essere dissociati da una buona dose di intelligenza.
Aveva stile. E per questo ci manca.
Buon compleanno, dovunque tu sia!
Il Direttore Artistico
Piero Ferrarini
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